Cambiano le regole dello smart working. Cosa succederà nei prossimi mesi? Facciamo un aggiornamento sia sul fronte del pubblico che del privato.
Di smart working si è iniziato a parlare diffusamente con lo scoppio della pandemia da Covid-19 che ha reso necessario rimodulare tutte le regole per il lavoro trasferendone parte da remoto. Dal 2020 in poi si è cercato di regolarizzare il tutto anche dal punto di vista delle normative ed i governi sono intervenuti in tal senso, per fornire una serie di regole anche ai datori di lavoro. La situazione però è ad oggi un po’ fumosa e ci sono alcune difficoltà, in particolar modo per quanto riguarda i genitori dei figli under 14, nel districarsi tra le varie regole della normativa relativa allo smart working.
Una prima segnalazione è arrivata da sindacati e aziende in merito alla carenza, nella legge di conversione del decreto Milleproroghe, di dettagli in merito all’attività lavorativa da remoto. Ricordiamo che con il Milleproroghe il diritto a svolgere da casa la propria attività, relativamente ai dipendenti che hanno almeno un figlio con meno di 14 anni, è stata prorogata fino al 30 giugno 2023: per finanziare questa proroga il governo Meloni ha messo sul tavolo 16 milioni di euro, sia per i lavoratori fragili che per i genitori di under 14, per i quali già a dicembre 2022 la misura era venuta a scadere.
Smart working, qualcosa non torna: come districarsi nella normativa
Vi sarebbero però alcuni buchi nella normativa da chiarire meglio: uno di questi riguarda il fatto che lo smart working è riconosciuto a dipendenti del settore pubblico e privato sino al 30 giugno; ma se si fa riferimento agli statali, soltanto gli impiegati affetti da una specifica serie di patologie o condizioni di immunodeficienza possono averne diritto; ed occorre verificare se si rientra in una delle categorie i cui parametri sono stati individuati dal ministero della Salute.
Non è però la sola discrepanza ravvisata da sindacati e aziende sul testo: il principale dubbio riguarda il fatto che solo nel caso in cui “tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione”, facendo riferimento alle due casistiche che consentono ai genitori di accedere al lavoro agile ovvero la sospensione o cessazione dell’attività lavorativa; oppure che non vi sia all’interno del nucleo familiare un altro genitore “beneficiario di strumenti di sostegno al reddito”.
Smart working, discrepanze nella normativa: gli esempi
Quello che non è chiaro è proprio questo aspetto ovvero come un’attività possa essere considerata compatibile (o meno) con lo smart working; un aspetto, questo, che lascerebbe importanti margini di interpretazione oltre al rischio di entrare in conflitto sia con le intese che imprese e sindacati hanno raggiunto internamente, sia con gli accordi specifici tra dipendente e datore di lavoro.
Facciamo un esempio: l’azienda ha concesso una settimana al mese di smart working al dipendente con un figlio under 14. Il lavoratore potrebbe superare l’accordo rivendicando il diritto di poter lavorare full time da remoto. Quello che imprese e sindacati si aspettano è, dunque, una circolare che faccia chiarezza sulla normativa specificando meglio tutti i casi ed i tempi nei quali lo smart working debba essere garantito.